Una vera Grifondoro
Di Luciano Pace.
I testi antichi che ci parlano di lei, molto tacciono su chi fosse. Furono scritti circa 200 anni dopo la sua morte. Forse, anche anticamente, alcuni racconti non dovevano essere scritti nei libri ufficiali. Succede sempre così: il primo modo di negare alcuni fatti e quello di non passarli nelle cronache, nella speranza che vengano, presto o tardi, dimenticati. Sono accadimenti che disturbano i potenti di turno, i quali, non di rado, hanno il potere anche sulle parole che meritano di essere scritte e ricordate.
Questo potere, però, non può essere esercitato sui racconti orali. La verità della vita ama trasmettersi sovente di voce in voce, all’interno di piccole comunità che ne fanno memoria segreta, in attesa di poterla rivelare pubblicamente a tempo opportuno. C’è però un limite di questa preziosa e sotterranea oralità: essa tende ad abbellire i racconti con particolari che, è probabile, non sono per filo e per segno cronachistici. Tuttavia, è bene ricordare che la verità di un racconto non si trova solo nel recensire fatti accaduti: la si intravede anche al di là di essi e dei modi con cui vengono retoricamente costruiti affinché siano ascoltati.
Così accade per la verità della storia di questa diciassettenne Alessandrina, di cui tutta l’Europa ha raccontato e racconta ancora oggi in lungo e in largo. Protagonista, oltre a lei, è un uomo di potere che si suicidò nel 313. Chissà se, come accade anche oggi a molti uomini che hanno ucciso la loro donna (o presunta tale), non si sia pentito di averla uccisa qualche anno prima. Alcune cose nessun racconto le può contenere.
Sta di fatto che tutto ebbe inizio nel primo decennio del IV secolo, qualche anno prima che nell’Impero Romano fosse proclamata la libertà di culto anche per i cristiani. In questo periodo Alessandria era ancora una città splendida: un faro di cultura e sapienza. Qui, in mezzo ai dotti e ai saggi del tempo, viveva la giovane e brillante Caterina. Pur giovane, aveva già compiuto la sua scelta di orientamento esistenziale: essere fedele a Dio, accogliendo la fede cristiana. Percepiva questa sua adesione come una vera scelta di espressione di sé (nonostante questo possa apparire a molti di noi contemporanei così complicato da credere). Caterina amava, in particolare, riflettere criticamente sulla fede in cui riponeva speranza, sempre pronta ad offrire buone ragioni per mostrarne la verità. Era una filosofa.
Nello stesso periodo storico, nella Provincia di Siria ed Egitto, venne nominato da Roma un nuovo governatore: Massimino Daia, colui che si toglierà la vita proprio nell’anno dell’Editto di Milano. Al suo arrivo ad Alessandria, egli bandì alcuni giorni di festività per tutto il popolo. Durante queste feste, in cui egli volle essere definito “Augusto”, Massimino decretò che fosse necessario anche compiere sacrifici agli dei pagani.
Come ci si può attendere, molti cristiani di Alessandria non vollero aderire a questo decreto, compresa la bella e coraggiosa Caterina. Così, quando Massimino venne informato del diniego di lei, cercò una soluzione. Chiese ai saggi di Alessandria di far cambiare religione a Caterina, convinto che li avrebbe ascoltati, dato che era lei stessa capace di esercitar ragione. Invece, accadde giusto il contrario: questi saggi, ascoltando le argomentazioni di Caterina, si convertirono tutti al cristianesimo. Cosa che, peraltro, non meravigliava Caterina: ella sapeva bene che, essendo Cristo la Verità e suo dono l’intelligenza per accoglierla, chi la esercita bene (anche dubitando con cuore sincero, se serve), prima o poi, a Cristo ci arriva!
Di fronte a tutto ciò, Massimino rimase sbalordito e infastidito, tanto da far uccidere tutti i saggi convertiti dall’annuncio di Caterina. Verso di lei, invece, non sembrava serbasse rancore. Anzi, all’apparenza, era come se covasse un sentimento di sincera ammirazione ed attrazione verso questa giovane, bella ed intelligente. Perciò, pensò di darle una seconda chance: le chiese di sposarlo. In questo modo, lei avrebbe avuto ogni agio nella vita per dedicarsi allo studio e alla ricerca. Bastava che decidesse, sposandolo, di aderire alla religione pagana. Del resto, una sposa, non aveva la libertà di disobbedire al suo sposo-padrone.
Anche in questo caso Caterina declinò la proposta visto che – a suo giudizio – si sentiva “sposata” a Gesù Cristo. A questo punto Massimino, andando su tutte le furie (oggi diremmo “colto da un raptus omicida”), decise di condannare a morte questa stolta donna (o, meglio, tale ai suoi occhi), che aveva osato sfidare il suo potere di uomo e di sovrano. Prese una decisione orribile: far trucidare il suo corpo schiacciata da una ruota dentata. Per miracolo, Caterina si salvò da un simile supplizio. Ma per poco. L’orgoglio di un uomo ferito nell’onore è duro a morire. In seguito verrà decapitata.
La leggenda racconta che il suo corpo fu portato dagli angeli sul monte Sinai, il “monte di Mosè”, anche altrimenti conosciuto come il “monte di Caterina” (in ebraico “Gebel Katherin”). In questo modo, da quel giorno, a scanso di qualsiasi ulteriore equivoco teologico, i cristiani avrebbero ricordato che in quel luogo la voce di Dio non fu solo rivolta al profeta maschio Mosé, ma anche alla santa donna Caterina. Perché Cristo, incarnazione della Parola di Dio, parla al cuore di uomini e donne indistintamente. Tutta la storia dei santi e delle sante della Chiesa ne dà testimonianza a chi voglia intenderlo.
La capacità di Caterina di resistere al potere di Massimino è una testimonianza viva di ciò che una donna può fare quando rifiuta di essere trattata come un oggetto, come una proprietà, come una pedina nelle mani di chi cerca di esercitare su di lei il proprio controllo. Caterina, infatti, affrontò una delle forme più crudeli di violenza: la violenza spirituale, quella che voleva minare la sua fede e il suo senso di identità. Ella fu coraggiosa, una vera Grifondoro: subì il martirio.
Caterina rappresenta, in questo modo, tutte le donne che oggi si trovano a dover fare i conti con una violenza che cerca di costringerle a rinunciare a se stesse per adattarsi alle aspettative della società. La sua vita, oltre che un esempio di fede sincera ed incrollabile rappresenta una testimonianza di vera forza; quella forza di cui si diventa capaci quando l’amore verso la verità, coltivato senza ricorso alla violenza e alla sopraffazione, alberga in un cuore umano, maschile o femminile che sia.
Che la patrona dei filosofi sia un esempio per tutti noi che commemoriamo oggi tutte le donne vittime di violenza.