Sul progettare un’UdA nell’IRC

Di Luciano Pace.

In questi giorni sono stato sollecitato da più parti a riflettere su una questione di ordine pedagogico-didattico emergente dal Bando di Concorso straordinario per l’IRC. Si tratta della questione riferita a alla prova d’esame non selettiva, che consisterà nella presentazione di una progettazione didattica per l’IRC e in colloquio orale a partire da essa, senza fare riferimento esplicito ai contenuti disciplinari. La questione su cui intendo offrire qualche suggerimento riflessivo è appunto questa: in quali modi è possibile interpretare questa esclusione dei contenuti dell’IRC dalla prova d’esame? Che cosa può significare presentare una progettazione didattica dell’IRC evitando di esporre contenuti disciplinari?

Per prima cosa è opportuno segnalare subito che due sono le interpretazioni principali offerte su questa questione (condivise e discusse anche sui social). La prima interpretazione ritiene che questa esclusione implicherebbe presentare in sede d’esame di Concorso la progettazione didattica dell’IRC senza fare riferimento alcuno ai contenuti disciplinari, ma solo alle Indicazioni Nazionali dell’IRC. La seconda prospettiva ritiene, invece, che, a partire dalle Indicazioni Nazionali dell’IRC, sia legittimo presentare una progettazione didattica in cui ci siano riferimenti a contenuti disciplinari, ma escludendo la possibilità di discutere di essi in sede d’esame di Concorso. Semplificando al massimo: in un caso è considerato illegittimo far riferimento a contenuti disciplinari nella progettazione didattica che verrà preparata (nell’arco di 24h) in vista della prova d’esame; nell’altro caso non sarà oggetto di colloquio d’esame il contenuto disciplinare integrato nella progettazione didattica predisposta dal candidato.

Ora, dietro ciascuna di queste due diverse interpretazioni ci sono presupposti di ordine normativo e didattico che conviene esplicitare per comprenderne più da vicino la diversità. La prima interpretazione si presenta in una forma che potrebbe esser definita “letteralista” rispetto al dettato della norma indicata nel Bando. In altre parole, si ritiene che l’indicazione del Bando di Concorso secondo cui i contenuti disciplinari dell’IRC devono essere esclusi dalla prova d’esame sia davvero rispettata in sede di prova consorsuale se e solo se di tali contenuti non se ne faccia parola in nessun modo durante il colloquio. Tuttavia, nella preparazione della progettazione didattica, il candidato potrà, comunque, fare riferimento alle Indicazioni Nazionali dell’IRC.

Così formulata, la questione pone i seguenti interrogativi di ordine didattico: quale legame esiste fra la progettazione dell’UdA e i contenuti di una disciplina scolastica? Come si fa a progettare un’UdA nell’IRC connessa alle Indicazioni Nazionali, senza fare alcun riferimento ai suoi specifici contenuti disciplinari? Il primo interrogativo è di Didattica generale e riguarda il rapporto fra progettazione didattica e contenuto epistemico di una materia scolastica. Di per sé, la riflessione didattica più accorta segnala ormai da tempo due vie per intendere questo rapporto fra progettazione e contenuti. La prima via, tipica delle Unità Didattiche (UD), prevede che il contenuto sia ciò attraverso cui l’insegnante progetta la sua azione di insegnamento. Di conseguenza, nel progettare il suo agire didattico, l’insegnante fa principalmente e immediatamente riferimento ai contenuti della disciplina di cui si fa interprete. La progettazione, così, prende la forma di un elenco ragionato di saperi disciplinari da trasmettere agli studenti nelle lezioni. La seconda via, invece, è quella dell’Unità di Apprendimento (UdA) propriamente detta. In una UdA i contenuti non sono ciò grazie a cui si progetta. Un’UdA è progettata alla luce di alcuni bisogni formativi degli studenti a cui un Obiettivo di Apprendimento (OA) cerca di far fronte. Il contenuto, in questa seconda impostazione, ha una funzione solo ausiliaria: è ciò grazie a cui l’insegnante insegna, non l’obiettivo di ciò che insegna. Come nella musica: la lettura del pentagramma e delle note (contenuto) è ausiliaria allo sviluppo della competenza nell’imparare a suonare, magari giungendo un giorno a improvvisare assoli durante i concerti.

Se questo è chiaro a livello di riflessione didattica generale, la questione si complica rispetto al secondo interrogativo, ovvero rispetto alla progettazione didattica specifica dell’IRC, data l’atipicità della disciplina. La difficoltà è reale e dipende dalla circostanza per cui, siccome l’IRC è materia scolastica curricolare, ma, al contempo, la Teologia non è riconosciuta come sapere scientifico legittimo da parte dallo Stato (cioè i contenuti teologici non appartengono a nessuna Classe di Concorso), di conseguenza comprendere che cosa significhi progettare didatticamente nell’IRC diventa più problematico, soprattutto in vista di un Concorso pubblico. Per ogni altra disciplina è abbastanza semplice: si studia Fisica in accademia, ci si abilita, si diventa insegnanti e poi, nel progettare un’UdA di Fisica, si farà riferimento in maniera ausiliaria ai contenuti… della Fisica. Per l’IRC invece accade questo: si studia Teologia, si diventa insegnanti di Religione Cattolica (IdRC) ottenendo l’idoneità diocesana e poi, nel progettare un’UdA nell’IRC ci si domanda: a quali contenuti disciplinari bisognerebbe far ausiliare riferimento, visto che vanno esclusi i contenuti teologici?

Ecco, secondo l’interpretazione letteralista della norma del bando per il Concorso straordinario dell’IRC, la risposta a quest’ultima domanda è chiara: nessun riferimento a nessun contenuto teologico nella progettazione di UdA nell’IRC. Seppur legittima da sostenere per via normativa, questa impostazione non risolve, però, alcune altre questioni che si pongono in sede di riflessione squisitamente didattica. Per esempio, a quali altri contenuti dovrebbe riferirsi chi progetta nell’IRC se non a quelli teologici? In che senso le Indicazioni Nazionali dell’IRC sono scollegabili totalmente da contenuti teologici se, in esse, sono espressi di continuo riferimenti disciplinari squisitamente teologico-cristiani (solo a titolo esemplificativo, mi viene in mente il Campo di Esperienza secondo il quale Dio va presentato come “Creatore”)? Come, inoltre, mantenere la confessionalità dei contenuti durante l’IRC, prevista per norma dai Patti Lateranensi e dalle successive Intese, senza mai farvi accenno nella progettazione di un’UdA? A me pare che a simili interrogativi di tipo didattico la prima interpretazione del Bando non abbia particolari suggerimenti da offrire.

Provo quindi, ora, ad illustrare i presupposti della seconda interpretazione alla questione iniziale, che chiamerei “liberale“, per il fatto che assume la norma tenendo conto dell’atipicità dell’IRC e, quindi, permettendosi uno spazio di interpretazione non letteralista. A fondamento di questa seconda prospettiva ci sta la consapevolezza per cui ogni insegnante, nel progettare didatticamente, può farsi interprete della sua disciplina con una certa autonomia. Tale autonomia è motivata e garantita, anzitutto, dal fatto che la Costituzione Repubblicana stabilisce che ogni arte e scienza è libera e libero né è l’insegnamento (art. 33). Anche l’arte di insegnare Religione Cattolica a scuola gode normativamente di questa libertà. Inoltre, in un’ottica più direttamente didattica, ogni insegnante, come ha magistralmente posto in luce Elio Damiano, nel farsi interprete della disciplina che insegna, è chiamato a compiere un’opera di mediazione didattica dei suoi contenuti disciplinari. Di conseguenza, in una progettazione di UdA non si troveranno mai i contenuti disciplinari puri e distillati, asetticamente stabiliti e definiti sempre allo stesso modo, ma la loro mediazione didattica operata dall’insegnante in virtù di alcuni OA che si pone.

Secondo alcuni interpreti, quest’opera di mediazione didattica assume la forma di una “declinazione” dei contenuti. E questa è esattamente l’interpretazione di chi è solito programmare ancora nella logica dell’UD. Declinare un contenuto è metterlo in colonna in una forma standardizzata e ricorsiva, come si fa con i sostantivi e gli aggettivi della lingua latina o greca. Diversamente, nell’orizzonte metodologico della progettazione per UdA e per sviluppo di competenze, la mediazione didattica è un’opera di modellamento del contenuto, cioè di suo adattamento comunicativo all’età evolutiva degli studenti, perché si presti ad essere impiegato nella comunicazione istruttiva mentre si perseguono determinati OA.

Se questa prospettiva di riflessione didattica pare chiara (almeno è tale agli occhi di chi scrive), di conseguenza in nessuna UdA di nessuna disciplina è presente l’universale e immodificabile contenuto disciplinare (che dovrebbe essere incluso nelle prove d’esame consorsuale di tutte le discipline scolastiche ed escluso solo in quella dell’IRC a motivo della sua atipicità). Piuttosto, in quanto mediato didatticamente, il contenuto disciplinare è sempre incluso nell’atto di progettare e sempre escluso come obiettivo della progettazione. Tanto che, nonostante una UdA faccia riferimento a determinati contenuti disciplinari, si potrebbe discutere della sua struttura didattica a prescindere da quei contenuti. Un esempio può essere di aiuto: quando si discute didatticamente di uno spezzone di un film come mediatore d’apprendimento, il contenuto esplicito presentato dallo spezzone non è il protagonista della discussione; piuttosto, ci si domanda se in quanto mediatore didattico sia adatto all’età degli alunni, se sia chiaro in ciò che comunica, a quale scopo lo si impiegherebbe in una lezione, ecc…

Ebbene, in forza di queste ragioni di ordine didattico, è possibile appunto giungere a concludere legittimamente che, in sede di esame per il concorso dell’IRC, la presentazione della propria progettazione didattica possa essere elaborata compiendo un’opera di mediazione dei contenuti teologici connessi con le Indicazioni Nazionali della disciplina, ma escludendo l’eventualità che in quella sede si conversi e ci si concentri sul sapere teologico-confessionale, visto che oggetto della discussione sarà, appunto, solo la progettazione dell’UdA. Per restare all’esempio di Dio come Creatore: una eventuale UdA per la Scuola dell’Infanzia potrà far riferimento a mediatori didattici connessi a questo contenuto segnalato nel Campo di Esperienza per l’IRC. Tuttavia, in sede d’esame, non sarà legittimo, né da parte del candidato, né da parte della Commissione esaminatrice, intavolare una conversazione sulle interpretazioni teologiche connesse con il pensare Dio come Creatore. Che peccato, però, esser di fronte a questa circostanza che va giustamente rispettata: sarebbe di arricchimento culturale poter fare una simile conversazione! Forse giungerà un tempo futuro in cui si potrà riammettere la Teologia fra i saperi pubblici a beneficio sia di questi sia della Teologia stessa. Nel caso, spero di esserci ancora per vedere quei giorni.

Nel frattempo, questa prospettiva di intendere in modo più liberale la norma del Bando di Concorso dell’IRC è quella che io stesso perseguo quando, qui sul blog, presento e metto a disposizione dei colleghi interessati alcuni alcuni esempi di UdA in vista della prova del Concorso. Questi esempi non vanno considerati come emblematici, ma solo come esemplificativi di questa seconda impostazione ermeneutica, qui solo brevemente presentata ed argomentata. Per chi volesse approfondirla più da vicino, tenga conto che ho scritto un volume dal titolo “Confilosofare fra i banchi. L’IRC in prospettiva dialogica“, edito nel 2023 dalla Casa Editrice IF PRESS, in cui illustro più diffusamente la liberalità connessa alla Didattica dialogico-costruzionista a cui ispiro la mia riflessione come docente accademico e a cui cerco di orientare la mia azione didattica come IdRC a scuola.

Detto ciò, rimane il fatto che ciascuna delle due interpretazioni qui segnalate è legittima da suggerire e da promuovere in vista del Concorso. Anzi, sarebbe interessante trovare esempi di progettazione didattica dell’IRC con cui confrontarsi concretamente, strutturati senza alcun riferimento di nessun tipo a contenuti teologici, come vorrebbe chi sostiene la prima interpretazione. Se chi ha letto questo articolo ne conoscesse qualcuno, sarei ben felice di venirne a conoscenza per rifletterci su. Inoltre, tale duplice possibilità interpretativa non dovrebbe generare troppa preoccupazione in chi si prepara all’imminente prova orale del Concorso per l’IRC perché, come si accennava nello svolgimento di questa riflessione, è motivata anche dall’atipicità della disciplina. Atipicità che, a me pare, nell’interpretazione letteralista è giudicata politicamente con sospetto e come causa di confusione normativa, in quanto si presta ahimè, ma solo in alcuni casi, a legittimare forme di abuso di potere istituzionale; mentre in quella liberale è accolta comunque come un’opportunità, un’occasione e uno stimolo per favorire la didattica dell’IRC, a prescindere da qualsiasi altra questione politico-istituzionale ed anche indipendentemente dalla preoccupazione per la preparazione alla prova orale del Concorso per l’IRC.

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