Un amore “secondo” e “simile” al primo

Di Luciano Pace.

Qualche giorno fa mi è capitato di domandare ad un amico che frequenta la Scuola di Filosofia per quale motivo, a suo giudizio, l’amore verso il prossimo è considerato il “secondo” precetto “simile” al primo, ovvero l’amore di Dio sopra ogni cosa. La sua risposta è stata questa: “Non esistono cose uguali anche se possono apparire tali. Tra quelle simili quanti gradi di similitudine ci possono essere? Boh, è un problema che non mi sono mai posto e che, comunque, non saprei risolvere. Il teologo sei tu”.

Ci ho riflettuto e credo che questo messaggio di risposta meriti attenzione. Provo a scrivere quali pensieri mi ha suscitato. Anzitutto, dichiarare, con onestà intellettuale, di non essersi mai posti certi problemi è un atto fondamentale per chi filosofa. Spesso lo si verbalizza così: “Sai che a questa cosa non ci avevo mai pensato?”. Ecco, per chi non fosse avvezzo a riflettere, c’è un elemento del filosofare così semplice e spontaneo che spesso sfugge all’attenzione: la nostra possibilità di pensare dipende da mettere a fuoco problemi a cui altri ci hanno fatto fare attenzione. Al suo cominciamento, il pensiero è donato ad una mente dalle parole altrui.

Si tratta di parole “focalizzanti”, che hanno il potere di indirizzare la mente verso ciò a cui non si sarebbe pensato da soli. Fin dall’inizio l’arte del filosofare è fraterna: c’è bisogno di altre menti oltre la nostra per pensare. Anche quando si filosofa, meditando nel soliloquio (come hanno fatto sant’Agostino prima e Renato Cartesio poi), c’è sempre un’altra mente con la quale si immagina di conversare. La mente dell’altro non è un’avversaria da sconfiggere nella competizione delle idee, ma la sorgente da cui la riflessione filosofico-dialogica può prendere sempre sicuro avvio.

Proprio per questo – e qui inizia un secondo pensiero riferito al messaggio di Lorenzo – a chi ci invita a pensare è segno di gentilezza intellettuale rispondere. E siccome ritengo (forse un po’ presuntuosamente) che le prossime parole scritte possano interessare non solo il mio diretto interlocutore, ma ogni mente attenta al senso delle cose, rispondo con questo articolo all’invito rivoltomi.

“Non esistono due cose uguali”! Quest’affermazione pare evidente se si considera ogni cosa come ente a se stante e distinto da ogni altro. Tuttavia, se si considerano invece gli “accidenti” (termine impiegato da Aristotele per indicare i tratti di una cosa che non sono la sua stessa essenza o sostanza) allora, due o più cose possono essere uguali accidentalmente. Prendiamo, per esempio, la stessa plastica di cui due o più oggetti diversi sono fatti. Gli oggetti non sono uguali, ma la materia di cui sono fatti sì. Oppure, due motociclisti, l’uno sulla Ducati e l’altro sulla Honda, che giungessero insieme al traguardo, facendo lo stesso esatto tempo. Le moto sono diverse, ma il tempo di percorrenza identico. Insomma, sotto alcuni aspetti, due cose distinte possono essere uguali.

In che cosa ogni cosa che esiste è uguale? Risposta: l’essere. L’essere è ciò di cui ogni cosa partecipa, dal piccolo granello di sabbia alla più grande galassia dell’universo. Ogni cosa che c’è, è tenuta fuori dal nulla. E, se ci si pensa davvero con calma, si potrebbe giungere a questa conclusione: in quanto esistenti e nonostante tutte le differenze che contraddistinguono ogni singolo ente, l’esserci insieme di tutte le cose dell’universo è principio di uguaglianza. Il fatto che ci siano miriadi di enti che, come noi, esistono, ci dovrebbe far sentire parte della chiesa degli essenti, l’immensa cattedrale dell’universo.

Applicando tutto ciò al prossimo che mi è accanto, si potrebbe concludere che la benevolenza verso di lui (che è alle volte così scorbutico e rompiscatole) non è fondata sul fatto che sia particolarmente apprezzabile, ma solo sul fatto che, in quanto essente, è uguale a me. Misteriosamente, aprirò gli occhi e comincerò a pensare che qualsiasi essere umano è a me identico, nonostante alle volte lo giudichi pessimo per taluni aspetti. L’amore verso il prossimo, a cui il Figlio di Dio ha fatto riferimento, trova il suo fondamento nell’essere degli altri uomini e non nelle loro speciali qualità. Ogni uomo c’e e, quindi, è apprezzabile nonostante tutto.

Ma come è possibile poi vivere questo atteggiamento nella vita quotidiana, quando il prossimo sembra fare di tutto per farsi odiare? Qui entra in gioco il terzo pensiero, quello collegato all’amore verso Dio a cui l’amore del prossimo sarebbe “secondo” e “simile”. L’aggettivo “simile” è impiegato per comunicare che due cose distinte si assomigliano in qualcosa, proprio perché non sono identiche. Nei paragoni, la similitudine viene indicata dal “come”: questa cosa è “come” (cioè “simile a”) quest’altra. In sostanza, l’uguaglianza indica qualcosa che richiama identità fra due o più enti sotto certi aspetti. La similitudine richiama, invece, un rapporto di analogia di proporzionalità fra enti in ambiti distinti. Per esempio, “Nel correre, sei veloce come una Ducati”.

Ebbene, a che cosa deve essere “simile” l’amore del prossimo per esprimersi al modo dell’uguaglianza fra diversi sopra indicata? La risposta teologica è questa: deve assomigliare all’amore verso Colui che fa ogni cosa nell’universo, ovvero all’amore verso Dio Creatore. Pensiamoci con calma: per quale motivo dovrei amare il prossimo a me estraneo (e sovente così fiero e dispettoso) che mi è a fianco? Per quale ragione perdonarlo quando sbaglia? Perché pregare addirittura per lui quando mi si fa avversario? Se considero la logica umana, non c’è nessun obbligo che mi spinga a fare tutto questo.

Ma se considero la Rivelazione di Dio in Gesù, so che la robusta presenza di questo antipatico prossimo nella mia vita è voluta da Dio che lo tiene in essere a me accanto tanto quanto sta facendo con me, che magari a mia volta risulto alle volte scorbutico per gli altri allo stesso modo. Sarà quindi l’amore di Dio sopra ogni cosa, ovvero il primo fra i precetti dell’amore, a donare senso e valore all’amore simile che avrò verso il mio prossimo.

Questa riflessione merita ancora qualche approfondimento. Spesso si crede che, nella fede cristiana, l’amore verso il prossimo sia intercambiabile con l’amore verso Dio. “Non serve confessarsi ed andare a Messa. basta fare del bene!”, si sente dire da tanti odierni predicatori anche dai pulpiti. In realtà, stando alla Rivelazione divina attestata nei Vangeli, l’amore verso il prossimo e l’amore verso Dio non sono identici, cioè uguali. Sono ben distinti. Gesù lo spiega con chiarezza ad un saggio fariseo del suo tempo. La distinzione consiste per prima cosa nel fatto che l’amore di Dio va posto come “primo” e quello del prossimo come “secondo”. L’amore di Dio, il primo, si chiama “Carità”. “Al di sopra di tutto vi sia la Carità”, chiarisce bene anche san Paolo.

Ma c’è anche un’altra distinzione fra i due amori. L’amore di Dio è “primo” non solo perché precede il secondo, ma soprattutto perché né è il fondamento. Infatti, cosa succede quando si ama qualcuno come sé stessi senza che a fondamento di questo amore ci sia la Carità? Semplice: rendiamo infernali le vite altrui, poiché il criterio con cui amiamo è l’amor di noi stessi sopra ogni cosa. Questo presunto amore egocentrato è una forma di idolatria di sé: ci si ama come se si fosse Dio e, quindi, si manda nella disperazione coloro che si dichiara di amare al modo in cui diciamo di amare noi stessi.

Ciò che non torna in questa perversione spirituale è appunto la “similitudine” fra l’amor di Dio e del prossimo: al posto di amare il prossimo come noi stessi, ovvero con lo stesso amore con cui si è in relazione d’amore con Dio, lo si ama sentendosi come se noi stessi fossimo Dio. Che sottile inghippo, eppure così chiaro nella sua profondità. L’inferno, quindi, non sono gli altri, come immaginava Sartre. Bensì esso si situa dove finiscono gli altri quando nel nostro cuore non regna l’amore divino sopra ogni altra preoccupazione. Al contrario, se e quando ci si sente amati da Dio nonostante tutto come poveri uomini peccatori, si amerà il prossimo con la misericordia che si sa di aver ricevuto. L’amore redentivo del Figlio di Dio sarà l’origine e il fondamento dell’amore del prossimo che il Creatore sta sostenendo nell’essere al nostro fianco.

Un’ultima considerazione. L’amore di Dio – è opportuno ricordarlo – è un dono che si riceve. La Carità non è un’invenzione della mente e del cuore umano. Dio la dona a chi gliela domanda con insistenza nella preghiera, nei tempi e nei modi da Lui stabiliti. Ogni uomo è degno di questo amore al cospetto di Dio. Ciò nonostante, la difficoltà di credere che esso esista realmente e sia fondamento della vera benevolenza e della vera fraternità verso il prossimo è uno dei più gravi problemi filosofici e teologici del nostro tempo, in cui pare che l’idolatria di sé sia un malanno dell’anima assai diffuso ed incurabile. Snidare tale idolatria, facendo verità nella propria vita di peccatori, è il primo passo sul cammino che conduce verso l’amore del prossimo come sé stessi, sentendo ben saldo sotto i piedi dell’anima l’amore di Dio come principio e fondamento del nostro peregrinare nell’epoca dei consumi… Questa valle di risate prive di vera gioia.

Un pensiero riguardo “Un amore “secondo” e “simile” al primo

  1. Lorenzo ha detto:

    Caro Luciano,
    ho letto la tua interessante disquisizione sulla quale dovrò riflettere. Vorrei proporre all’eventuale lettore il testo del mio post che ha dato luogo alla tua domanda ed alla conseguente mia risposta che tu hai integralmente riportato. Non penso che aggiunga nulla al nucleo del problema che hai sollevato, ma, forse, è interessante capire come una frase inserita quasi incidentalmente in una riflessione più complessiva possa invece contenere delicati risvolti teologici che normalmente non cogliamo o sottovalutiamo per ignoranza. Almeno, questo è il primo riscontro che che ho avuto cercando di comprendere le tue parole. Ti ringrazio dunque per aver voluto approfondire condividendo con me e con coloro che leggeranno le tue conoscenze e i tuoi ragionamenti.
    Ecco di seguito il testo del post.

    Ama il prossimo tuo come te stesso: è un’affermazione talmente “inumana” che, ben che vada, uno si sceglie il “prossimo” che vuole, se vuole amarlo. Tuttavia, un tipo di amore sul quale si fondano le nostre emozioni più forti è quello di coppia. Ci educano fin da piccoli in questo modo: la tua “metà”, la famiglia, i figli, la riproduzione e la continuazione della vita, tutto naturale e necessario. Il problema è: quanto tutto ciò vincola l’amore per te stesso e le scelte che sei costretto a fare anche contro di esso. È vero, non si può vivere senza relazioni con gli altri, ma un punto fondamentale è che per poter amare qualcun altro devi prima saper amare te stesso. Qui si gioca il grande equilibrio di una persona e il vero significato della prima affermazione, anche se taluno riesce ad amare gli altri solo (o, anche) amando Dio: io ancora non ci riesco.

    Ancora, grazie.

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