Ricordi dell’ora di pace

Di Elena Tonolini. Pubblichiamo con un senso di grande riconoscenza il seguente articolo di una ex-studentessa che ha voluto onorare questo blog con i suoi personali ricordi collegati all’insegnamento della Religione Cattolica vissuto a scuola.

Se dovessi chiudere gli occhi e rievocare i ricordi più belli risalenti ai tempi della scuola superiore, di certo mi tornerebbero alla mente il viaggio d’istruzione (o viaggio distruzione, come lo chiamerà sicuramente chi vi ha partecipato) dell’ultimo anno, con le camminate infinite per le vie romane sotto il sole cocente di maggio e le bonarie marachelle che prendevano di mira quelle povere anime dei professori che si erano offerti di accompagnarci, i piccoli momenti di quotidianità frivola e giovanile e l’ora di religione settimanale.  

Tutti hanno dei ricordi particolari risalenti al periodo scolastico, perché, nel bene e nel male, è inevitabile che una ventina di studenti, obbligati per legge dentro alle stesse quattro mura per gran parte della loro giornata, non interagiscano tra di loro, e soprattutto è ancora più improbabile che non lo facciano con il solito modo di fare dei ragazzi della loro età, con quel misto di allegria, spensieratezza e spesso irresponsabilità, ma in qualche modo pregno di una particolare forma di complicità taciuta, quasi solenne, un senso di appartenenza a una condizione comune: quella dell’adolescenza. 

Se si pone la domanda “ma tu ti senti un adolescente?” a uno studente delle superiori, questi quasi sicuramente prima guarderà il proprio interlocutore con aria stranita, come chiedendosi da quale manicomio egli sia sbucato fuori, e poi risponderà con un più o meno sbuffato “sì, certo”. A noi ex alunni della 5BI, la domanda se fossimo adolescenti non è mai stata posta, eppure conoscevamo perfettamente la risposta e ce la ricordavamo ogni volta che suonava la campanella che sanciva l’inizio della lezione di IRC.  

Personalmente mi reputo una degli studenti partiti più prevenuti nei riguardi dell’insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole, non so se per un agnosticismo intrinseco o semplicemente per la mia naturale avversione verso tutto ciò che è imposto senza un apparente e utile motivo (e per me la partecipazione all’ora di religione lo era sempre stata: i miei genitori, come molti altri, mi avevano iscritta solamente perché pure loro da giovani avevano dovuto frequentare quelle lezioni per volere della madre o del padre), tanto che ricordo perfettamente che all’inizio del terzo anno, quando lessi per la prima volta la sigla IRC sul calendario delle lezioni giornaliere, prima sbuffai e poi preparai con largo anticipo un quaderno a quadrettoni già in parte scarabocchiato su cui eventualmente mettermi a disegnare qualcosa durante l’ennesimo racconto delle miracolose avventure di Gesù.  

Fu quindi con mio grande stupore che già alla fine della prima ora di lezione compresi che quel quaderno non lo avrei mai usato. Lo capii guardando le facce dei miei compagni di classe e riconoscendo in loro la mia stessa confusione: eccolo, quel senso di appartenenza di cui parlavo poco fa. Senza nemmeno rendercene conto ci univa il fatto di aver avuto il primo assaggio dell’atmosfera che sarebbe andata a crearsi settimana dopo settimana e so perfettamente che descritta in questo modo pare un qualcosa di mistico e vagamente inquietante, ed effettivamente all’inizio un po’ era così.  

Non era la prima volta che sentivamo parlare di un modo di affrontare la didattica in maniera differente, in quanto studenti avevamo partecipato a numerosi incontri e sentito almeno una ventina di monologhi a riguardo in poco più di due anni, ma era la prima volta che qualcuno lo applicava nel reale.  

Ci sentivamo spaesati, incuriositi dalla novità appena percepita, ma allo stesso tempo anche diffidenti come cani che tentano di intravedere il bastone mentre annusano la carota. Soprattutto i primi mesi ricordo che c’era questa sorta di tensione quasi elettrica tra noi ragazzi, ormai disillusi dai bei discorsi da parte di consulenti dell’educazione che però non insegnano e le cui parole perciò rimangono appese al soffitto dell’aula magna, dove si tenevano gli incontri di questo tipo, perché nelle ore di IRC noi non capivamo cosa dovevamo dare. Qual era la performance richiesta? Dov’erano le informazioni da apprendere e riesporre durante i test? Cosa dovevamo dimostrare all’adulto che avevamo davanti?  

È qua che si cela il mistero, ecco il rompicapo che ci aveva destabilizzati il primo giorno: l’ora di IRC, l’“ora di pace”, non è mai stata un momento in cui noi studenti dovevamo dare, bensì ricevere. Eravamo così abituati a dover dimostrare qualcosa ad altri che, nel momento in cui quest’obbligo è stato smantellato, da studenti siamo tornati ad essere ragazzi, adolescenti, individui, e in quanto tali pieni di pensieri e domande fino a rischiare di farci scoppiare la testa.  

Il quinto anno è stato il migliore, perché ormai avevamo imparato a conoscere l’“ora di pace” (il nome non è a caso): tra l’ansia crescente per l’esame di maturità, i dubbi su cosa ci avrebbe aspettati una volta diplomati, lo stress per le nozioni da recuperare e memorizzare in tempi che sembravano sempre troppo stretti e nel frattempo amicizie che cominciavano e finivano, i primi amori non corrisposti, i litigi con i genitori troppo impegnati col lavoro per darci attenzioni sufficienti, noi ragazzi arrivavamo all’ora di IRC pronti a esplodere da un momento all’altro. Chiunque abbia anche solo sentito raccontare qualcuna delle marachelle della 5BI 2021-2022 ci metterebbe le mani sul fuoco sul fatto che in una situazione del genere non avrebbe potuto che scoppiare il caos durante un’ora facoltativa e di scarsa rilevanza a livello curricolare come quella di religione, ma non è così.  

C’era un momento di sospensione, un’ora di preziosissimo tempo che somigliava a un respiro profondo in cui sgomberavamo la mente e aspettavamo semplicemente il nuovo stimolo a ritrovare noi stessi in quel marasma di agitazione della vita quotidiana e scolastica. C’erano incipit nuovi, certamente, ma mai argomenti nuovi: avevamo già tutto dentro di noi, non dovevamo interiorizzare e riesporre assolutamente nulla, bensì accettare il solleticare della ragione imposto dalla presentazione del discorso generale e attendere quei millesimi di secondo (essendo sempre stati ragazzi particolarmente vivaci) necessari affinché la nostra personale verità in merito affiorasse, e il tutto senza stress o ansie di alcun tipo. 

Per un’ora alla settimana, potevamo definirci in pace dentro le mura scolastiche, sereni di poter conversare apertamente, di mettere da parte la maschera da studente e poterci confrontare su domande da ragazzi: ha ancora senso al giorno d’oggi credere in Dio? E io a Dio ci credo? Ho dei valori, a discapito di quanto dicono i più anziani? Quali sono? Come sono disposto a difenderli? C’è qualcun altro che si domanda le stesse cose che mi chiedo io o sono strano? Chi sono io? Ho qualcosa di importante da trasmettere a qualcuno? 

Questo è il ricordo che possiedo dell’IRC, probabilmente più filosofico e meno allegro di altri, ma pur sempre il mio ricordo e ciò che al giorno d’oggi mi fa affermare con estrema certezza che gli studenti hanno bisogno di un’“ora di pace”. 

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