In memoria di Vattimo

Di Luciano Pace.

Ho incontrato per la prima volta il nome di “Gianni Vattimo” in un seminario di Sociologia Generale dedicato al postmoderno, durante il mio primo anno di università. Il docente ci presentò, per brevi accenni, la sua ipotesi filosofica del “pensiero debole” (cosa per cui Vattimo è noto a molti). Lì per lì la cosa non mi colpì molto. Era uno dei tanti autori presentati in quel seminario, in cui si cercava di dar risposta alla domanda: “In che tipo di società ci troviamo a passeggiare noi anime contemporanee?”.

A partire da questo primo incontro non molto promettente, mi capitò di rincontrare ancora Gianni Vattimo nelle citazioni ascoltate in altri corsi accademici. Una seconda volta, fra quelle più significative, è stato durante una lezione in cui si contrapponeva al suo “pensiero debole” un “pensiero umile”. Il teologo che tenne quella lezione fu capace di mostrare con chiarezza questa acuta distinzione.

Più direttamente ho apprezzato la capacità di scrittura e la chiarezza di pensiero di Gianni Vattimo leggendo e studiando un suo volumetto di introduzione al pensiero di Heidegger, edito dalla Laterza. Al tempo i volumi della Laterza di quella collana di introduzione a singoli filosofi venivano chiamati “pillole arancioni”: ogni volume, tra cui quello di Vattimo, era una sintetica, chiara e puntuale illustrazione del pensiero di un “amante della sapienza”. Non ho letto in maniera approfondita altro di Vattimo. Perciò la mia conoscenza sul suo modo di pensare è abbastanza scarsa.

Ciò nonostante, la sua intuizione fondamentale sul “pensiero debole” la considero descrittiva di uno dei modi di pensare tipici della post-modernità, ovvero il nostro tempo. Motivo per cui, nel mio primo manuale per l’insegnamento della Religione Cattolica nelle Scuole Secondarie di II grado, intitolato “Riflessi in uno specchio“, ho pensato di dedicargli un paragrafo all’interno del capitolo sulla società dei consumi. Non mi sento di avanzare giudizi sulla sua qualità di filosofo, data la mia poca conoscenza. Ma, credo, dal punto di vista culturale nessuno possa ignorare gli effetti che la prospettiva di Vattimo ha portato negli studi filosofici e teologici contemporanei.

Per queste ragioni, desidero dedicare un pensiero a lui, il giorno seguente la sua morte. L’occasione mi è stata facilitata da una circostanza precisa: questa mattina un mio amico e collega di scuola mi ha girato via whatsapp una citazione del filosofo. Si tratta di un breve stralcio di un volume di Vittorio Messori dal titolo “Pensare la storia“, edito dalle edizioni San Paolo nel 1992. Il testo, la cui prefazione fu curata dal cardinal Biffi, è una raccolta di 289 brevi saggi già precedentemente editi dall’autore nella rubrica “Vivaio” del quotidiano Avvenire.

Ecco che cosa scrive Messori riferendosi a Vattimo: «Voi cattolici – mi diceva il filosofo con il suo gusto ironico – avete resistito impavidi per quasi due secoli all’assedio della modernità. Avete ceduto proprio poco prima che il mondo vi desse ragione. Se tenevate duro ancora per un po’, si sarebbe scoperto che gli “aggiornati”, i profeti del futuro “post-moderno” eravate proprio voi, i conservatori. Peccato. Un consiglio da laico: se proprio volte cambiare ancora, restaurate, non riformate. È tornando indietro, verso una Tradizione che tutti vi invidiavano e che avete gettato via, che sarete più in sintonia con il mondo d’oggi, che uscirete dall’insignificanza in cui siete finiti, “aggiornandovi” in ritardo. Con quali risultati, poi? Chi avete convertito, da quando avete cercato di rincorrerci sulla strada sbagliata?».

A quanto ho constato, questa citazione è circolata fra ieri e oggi su alcuni social vicini al cattolicesimo come pensiero in memoria di Vattimo. Mi unisco anche io al cordoglio, nel ricordo e nella preghiera. Ben conscio del fatto che solo un laico onesto come lui poteva immaginare che le conversioni dipendono da quanto la Chiesa si mostri buona testimone o meno del suo Signore. Chi ha retta fede sa, invece, che solo Dio può convertire il cuore umano perché si innalzi a Lui. Ciò nonostante, è curioso che un acuto interprete della cultura contemporanea come il filosofo del pensiero debole sia riuscito ad osservare qualcosa della Chiesa che molti fedeli non riescono nemmeno lontanamente a identificare: la bellezza della Tradizione culturale collegata alla fede cattolica. Che ci sia una forza misteriosa che illumina il pensiero di chi, pur non avendo fede, cerca di esercitare la retta ragione? Io ne sono convinto. E Gianni Vattimo ne è un limpido esempio a mio modesto parere. Che riposi in pace.

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