Gli umani rimpianti

Il seguente brano antologico tratta della realtà della morte e del perché tutti la percepiamo con timore, ansia, angoscia. L’autrice propone una chiave di lettura di questo esistenziale problema insolita e non banale: ciò che temiamo di fronte alla prospettiva del nostro morire è il poter terminare la vita con alcuni rimpianti.

La nostra morte è in assoluto l’argomento peggiore, quello che tutti cerchiamo di evitare. Parlarne e pesante e anche solo pensarci crea ansia, perciò, quando viene sollevato l’argomento, tentiamo il più possibile di cambiare il discorso e di dedicarci ad aspetti della nostra vita che ci fanno stare bene. Così, quando alla fine ci troviamo davanti alla morte, che sia la nostra o quella dei nostri cari, siamo impreparati, terrorizzati.

Socrate e Platone non possono salvarci dalla morte, però possono darci il coraggio necessario a non scappare quando si parla di lei e a non tremare come foglie quando ci rendiamo conto che, un giorno, verrà anche per noi. La prima cosa che dobbiamo fare è porci una domanda: perché non vogliamo morire? La risposta sta, certo, nell’isitinto di sopravvivenza, ma anche nel modo in cui viviamo la nostra vita.

Nel 2012 Bronnie Ware, un’infermiera specializzata in cure palliative, pubblicò un resoconto sullo stato d’animo dei pazienti terminali e sui rimpianti con cui, giunti alla fine della vita, dovevano fare i conti. Notò che c’erano cinque rimpianti che quasi tutti i pazienti avevano in comune: l’aver lavorato troppo, non aver dedicato abbastanza tempo agli amici, non aver avuto il coraggio di esprimere i propri sentimenti, aver fatto non ciò che sentivano, ma ciò che gli altri si aspettavano da loro, e non essersi dati il permesso di essere felici.

Se anche noi abbiamo almeno uno di questi rimpianti, possiamo capire perché non vogliamo morire. Non è tanto la morte che ci fa paura, ma la consapevolezza di non aver vissuto come avremmo voluto e dovuto. A questo punto, qualche life coach improvvisato potrebbe spronarci a vivere la vita dei nostri sogni senza sprecare nemmeno un secondo e a combattere per la nostra felicità incuranti degli ostacoli sul nostro cammino. Peccato che questi buoni propositi durino sì e no due ore.

Davvero siamo tanto arroganti da pensare di poter evitare qualunque genere di rimpianto ed essere migliori dei pazienti terminali con cui parlò Bonnie Ware? Crediamo sul serio di riuscire a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo? Al di là delle frasi motivazionali, vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo causerebbe uno stress psicologico insostenibile. Significherebbe alzarsi tutte le mattine e, come prima cosa, immedesimarsi in un condannato a morte. Probabilmente, molti preferirebbero rimettersi a dormire.

La realtà è che non ci sono buoni propositi che tengano. Continueremo a sprecare il nostro tempo, sbaglieremo, ci faremo trascinare da cose di poca importanza che, sul momento, ci sembreranno importantissime. Poi ci pentiremo, ci ricorderemo che cosa conta davvero e piangeremo per ciò che abbiamo perso. Non è una nostra colpa, è la natura umana.

(Brano tratto da B. Santini, Platone c’ho l’ansia, Mondadori).

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