Le parole della politica

Di Luciano Pace.

La Scuola di Filosofia della Conca d’oro di Valle Sabbia (una delle valli del bresciano) è giunta alla sua dodicesima edizione, che sarà dedicata al pensiero politico. Dati i tempi in cui stiamo vivendo, in cui si sono rinnovati in Europa e in Medio-Oriente venti di guerra e in cui l’arte della diplomazia internazionale appare impotente nel farli cessare, diventa quanto mai importante riflettere su ciò che la politica è e dovrebbe essere, mettendosi all’ascolto di grandi pensatori della tradizione filosofica occidentale.

Il percorso è collegato ad alcuni concetti fondamentali connessi alla politica e a loro volta riferiti al pensiero di un grande filosofo. Si comincia così con Platone e con il sogno della “kallipolis“, la “città bella” da lui immaginata nella “Repubblica“. Platone si trova a vivere in un tempo in cui si domanda come sia possibile costruire una città che non mandi a morte i cittadini giusti. Ovviamente, il riferimento va alla vicenda di Socrate, ingiustamente condannato. Nel rispondere a questo interrogativo, Platone offre, in maniera sorprendente per la cultura del suo tempo, le condizioni per realizzare una città bella e giusta: uguaglianza fra uomini e donne, condivisione equa della ricchezza e governo di chi è più saggio fra i cittadini, ovvero i filosofi che conoscono e agiscono in base all’idea del Bene.

Facendo tesoro della lezione del suo maestro Platone, Aristotele ne offre una critica costruttiva. Nell’Etica Nicomachea egli fa notare che non basta l’Idea del Bene a fare in modo che i cittadini si comportino saggiamente. Certo, il governo di uomini buoni e giusti che indichino in cosa consiste il bene è importante. Ma non basta! La città giusta deve esser fatta di uomini e donne che si comportano secondo saggezza (“phronesis“). La saggezza è la virtù del retto agire in relazione agli altri, animata dalla prudenza, dalla giustizia e, soprattutto, dalla capacità di quell’equilibrio che è dato dall’evitare ogni eccesso.

Le lezioni politiche di Platone e di Aristotele vengono integrate nella civiltà cristiana antica e medievale e poste sotto la nuova luce di senso portata dalla Rivelazione di Gesù Cristo. In particolare, sant’Agostino da Ippona, nella sua opera “La città di Dio“, riflette sul significato della doppia cittadinanza del cristiano: la cittadinanza in questo mondo e quella celeste. Egli mette bene in evidenza come le esigenze delle due forme di cittadinanza non siano sempre corrispondenti e che, spesso, l’agire in conformità alla propria patria celeste significa entrare in conflitto con quella terrestre. Perciò, ogni cittadino cristiano è come una specie di straniero in questo mondo: nessuna forma di vita associata mondana potrà appagare il senso di giustizia che porta nel cuore.

L’appartenenza alla città del Cielo, o meglio, il vivere in questa vita in prospettiva di essa, conduce san Tommaso d’Aquino ad interrogarsi su quali siano le virtù e le responsabilità proprie del sovrano e dei sudditi, in quella società complessa che fu il feudalesimo medievale. Nella “Somma Teologica” egli espone le virtù e le responsabilità del sovrano di fronte a Dio e quelle del suddito di fronte al sovrano, condensando il suo discorso nella teoria delle tre leggi: la Legge eterna, la legge naturale e la legge positiva umana. Fra queste forme di legge ci deve essere armonia e, qualora un suddito giudichi in coscienza che le leggi positive del sovrano siano in contrasto con la legge naturale, avrebbe tutto il diritto di protestare e di non seguirle.

La visione delle leggi propria di san Tommaso d’Aquino verrà recepita in epoca moderna da John Locke il quale, tenendo per certa l’esistenza della legge naturale, esprimerà la sua critica alla pretesa di assolutismo del potere di un monarca. Nel suo “Trattato sul governo” egli cercherà di mostrare come l’autorità civile abbia un potere molto limitato, che dipende anche dal consenso del popolo che lo riconosce come valido grazie alla legge naturale. Perciò, il potere di governare, secondo Locke, sarà meglio garantito laddove venga gestito da istituzioni diverse con specifici compiti. In particolare al Parlamento spetterà il potere legislativo e al sovrano quello esecutivo.

La suddivisione dei poteri proposta da Locke prevede una sorta di virtuoso bilanciamento istituzionale: una forma di controllo reciproco fra coloro che gestiscono gli affari politici. Lo stesso bilanciamento è pensato anche da Immanuel Kant, ma non solo applicato all’interno del singolo Stato Nazione, bensì esteso anche alle relazioni internazionali. Nel suo scritto “Per la pace perpetua“, Kant, dopo aver chiarito che la pace non è solo il tempo di una tregua fra una guerra e l’altra, ma un contesto di convivenza ordinata concordato diplomaticamente e rispettato da tutti, suggerisce l’idea che un’associazione sovranazionale di Stati indipendenti, che coordinino e concordino le loro reciproche politiche interne, sia l’unica via per garantire la pace fra i popoli.

L’arte diplomatica a cui Kant fa riferimento può essere vissuta solo in un contesto sociale che non sia “chiuso”. Secondo Karl Raimund Popper, l’antichità greca, in particolare con Platone, ha consegnato al mondo occidentale una società elitaria, fatta da persone che si ritengono migliori di altre. Nemmeno le proposte di Hegel e di Marx sono esenti da critiche. Ne “La società aperta e i suoi nemici” egli propone il liberalismo come prospettiva di senso della democrazia. Lo spirito liberale consiste nel non ritenere assolute le conoscenze e le prospettive umane, men che meno in politica, nell’individuare forme razionali di controllo di chi gestisce il potere e nel diffidare del consenso popolare come criterio assoluto. Nel novecento, infatti, fu questo consenso a portare alla vittoria del Nazionalsocialismo.

La maggior difficoltà di una società aperta risiede nel dover costituire un patto sociale in un mondo pluralista, in cui i cittadini non condividono più né una stessa fede, né una medesima cultura ideologica. In questo contesto, si pone il problema di ciò che può cementare l’unità e la fraternità sociale. Secondo il filosofo Jaques Maritain la laicità è la via alla cittadinanza democratica attuale. Nel suo volume “L’uomo e lo Stato” egli sostiene che la laicità consiste in un accordo non di tipo ideologico, ma fondato su comuni convinzioni di ordine pratico, indipendentemente da ciò che ogni cittadino pensa o ritiene vero in teoria o per fede. I diritti umani rappresentano queste convinzioni alla base della laicità.

Se quello delineato in sintesi ne rappresenta il percorso ideale, l’edizione della Scuola di Filosofia di quest’anno sarà impreziosita dal fatto che il primo e l’ultimo incontro saranno tenuti da due ospiti d’onore: il prof. Giuseppe Molinari, ex insegnante di Storia e Filosofia del Liceo Arnaldo e socio fondatore dell’Associazione Culturale Odradek XXI, terrà l’incontro dedicato alla kallipolis platonica; il prof. Piergiorgio Grassi, stimato filosofo della religione (in Italia e non solo), discepolo diretto di don Italo Mancini e suo successore per molti anni alla direzione dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose (ISSR) di Urbino, condurrà l’incontro dedicato alla laicità in Maritain.

Anche quest’anno un ringraziamento particolare va al Responsabile Diocesano per l’IRC, prof. Giovanni Ghidinelli, per aver riconosciuto ancora il valore formativo della proposta ai fini della formazione degli insegnanti di Religione Cattolica della Diocesi di Brescia. Un sentito grazie anche al Sindaco di Bione, Franco Zanotti, e a tutta l’Amministrazione Comunale di Bione per la messa a disposizione gratuita della Biblioteca civica. Altrettanta riconoscenza va all’Associazione Culturale “Biucultura”, nella persona del suo Presidente dott. Fabio Gafforini, per il patrocinio dell’iniziativa. Infine, a tutti coloro che con me e il dott. Sergio Piccerillo frequentano da tempo questa scuola di pensiero dialogico e si esercitano nel confilosofare dico con amicizia e tanta riconoscenza: ci vediamo il 18 ottobre per il primo incontro!

Qui sotto la locandina dell’iniziativa.

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