Opinioni sul Peccato Originale

Di Luciano Pace.

Dedico la mia primalezione qui su “Ora Di Pace” ad una riflessione sul significato del Peccato Originale come racconto che esprime una ragionevole verità di fede cristiana. La riflessione dipende dalla circostanza per cui, ormai da tempo, mi sono reso conto che ci sono filosofi e teologi che negano questa verità di fede o fanno fatica ad ammetterla pienamente. Nel postarla mi sento emozionato e preoccupato. Emozionato, perché è la prima volta che scrivo una lezione e sento quell’euforia mista ad attesa tipica di chi si cimenta in qualcosa di inedito. Preoccupato perché, a mio parere, una lezione è tale se, esponendo in forma ordinata e sistematica elementi dotti di una o più discipline, studiate da chi la propone, fa riflettere su problemi reali chiunque la prenda in attenta considerazione, aiutandolo ad evitare facili e troppo affrettati posizionamenti ideologici. Spero di riuscire nell’intento.

Di recente mi è stato suggerito di dubitare di questo antico dogma perché “la teologia si sta rendendo conto di come la sua tradizionale esposizione non sia più adatta alla mentalità del nostro tempo”. Ecco, quando si intende pensare con calma, in maniera chiara e distinta, è necessario chiedere spiegazioni rispetto ad affermazioni i cui significati sono dati per scontati. Per farlo è utile porre domande. Per esempio: qual è la mentalità odierna che non può più cogliere il senso del Peccato Originale? È l’unica mentalità che oggi esiste? Quale teologia non condivide più la tradizionale esposizione di questo dogma? In cosa consiste l’interpretazione tradizionale? E così via. Le domande sono meravigliose: snidano pregiudizi e permettono di porli sotto la luce della riflettente consapevolezza.

Comunque sia, per entrare nel merito della questione, consideriamo alcune opinioni di chi nega il o di chi dubita del Peccato Originale come verità rivelata da Dio su un evento umano realmente accaduto.

  1. La prima opinione è quella di chi ritiene che il male non esita e che ogni realtà ed accadimento siano sempre e solo buoni. Chi pensa alla vecchiaia, la malattia e la morte come dei mali è solo un egoista che pensa a se stesso, dal proprio piccolo e insignificante punto di vista singolare. Se riuscisse a sganciarsi dal suo egoismo ed elevarsi con il pensiero alla visione del tutto, capirebbe che i sentori dolorosi percepiti come male in realtà sono anch’essi un bene nel dispiegarsi dell’essere totale. Questa prima opinione è da alcuni chiamata monismo. Se il tutto è buono, significa che nulla è davvero male. Ma, allora, non ha alcun senso ritenere che il male abbia avuto un’origine storica, come crede chi ha fede nel Peccato Originale.
  2. Una seconda opinione nega il Peccato Originale perché immagina il male come sostanza opposta al bene. L’universo è fatto da due principi in lotta perenne fra loro, ciascuno dei quali è invincibile e assoluto: Il Bene e il Male. Il Male non ha quindi avuto un inizio per opera di un atto degli uomini, ma è un principio intrinseco alle cose, assoluto e co-eterno al Bene. In particolare il Male è la Materia, contrapposta al Bene che è lo Spirito. Nessuno dei due può prevalere. Nemmeno è data l’opportunità di cambiare schieramento nel corso della vita: ci sono uomini che seguono il Bene e ci sono quelli che seguono il Male. Una simile fissità è ineluttabile, cioè non si può imparare a scegliere di compiere il bene se si è nati malvagi, né peccare se si è buoni. Un malvagio ed un buono sono tali per necessità ontologica. Il malvagio non può essere, quindi, redento dal male che compie. Il che significa, appunto, negare il Peccato Originale. Questa opinione è definibile dualismo manicheo.
  3. Secondo una terza opinione, il raconto del Peccato Originale è solo la modalità biblica con cui si comunica un mito caro alle civiltà antiche: il mito dell’età dell’oro. Questo mito è un puro racconto letterario, ma non ha alcun fondamento né ontologico, né storico, cioè non dice nulla della verità dell’essere umano e di ciò che egli ha compiuto realmente. Infatti, secondo questa prospettiva, è assurdo pensare che sia accaduto qualcosa di fattuale collegato a questa leggenda. Al limite, conoscere il racconto di Genesi 3, in cui, secondo questo modo di intendere la faccenda, è illustrato biblicamente il fantasioso mito dell’età dell’oro, è utile per approfondire la propria cultura storico-culturale e letteraria. Una simile posizione è di tipo retorico favolistica.
  4. Le prime tre opinioni sono di ambiente filosofico extra-teologico: non sorgono dall’interno di un’esplicita riflessione teologica cristiana. La quarta opinione, invece, nasce ed è sostenuta normalmente in ambito teologico e afferma questo: l’interpretazione del racconto di Genesi 3, secondo la quale la cacciata dal Paradiso Terrestre indica il Peccato Originale commesso dai primi uomini, è solo l’interpretazione di San Paolo. Questa interpretazione, secondo cui, a seguito della Colpa Originaria, i progenitori avrebbero perso la loro immortalità e sarebbero divenuti mortali, trasmettendo a tutti gli esseri umani, da quel momento in poi, l’inclinazione a compiere il male, è solo una fra le tante interpretazioni teologiche possibili, ma non può essere più considerata dogmatica, ovvero espressione di una sicura verità rivelata da Dio. Se così è, la fede teologale può esistere anche senza l’accettazione del dogma del Peccato Originale. Qui siamo di fronte ad una posizione di relativismo teologico.

Cosa dire rispetto a ciascuna di queste opinioni? Prima di mostrare ciò che di buono, ma di parziale, ciascuna di esse porta con sé, conviene chiarire il modo in cui la Tradizione di fede cattolica illustra il Mistero del Peccato Originale. Il punto di partenza dell’illustrazione è l’esistenza del male che l’uomo è capace di compiere, ovvero il peccato o male etico. Perché noi uomini commettiamo omicidi? Perché rubiamo? Perché non siamo fedeli nelle nostre relazioni d’amore? Perché, se siamo onesti con noi stessi, portiamo nel nostro cuore il desiderio di compiere il male? Da dove ci viene questa tendenza, visto che, al contempo, sappiamo in coscienza che non dovremmo uccidere, rubare e tradire? Il problema è stato opportunamente sintetizzato da sant’Agostino in questi termini: perché vedo e so qual è il bene da farsi e comunque voglio e faccio il male? Nel porla in questo modo il santo di Ippona cita il poeta latino Ovidio, ad indicare che questo problema è davvero serio, reale e umanissimo, tanto che non può essere schivato da chi, come essere umano, intenda pensare il significato profondo della sua condizione esistenziale.

Di fronte a tale problema, il Peccato Originale è la verità di fede che ne offre una più che ragionevole spiegazione. Infatti, ogni uomo, me compreso, porta nel suo cuore la tendenza a compiere il male perché la natura umana, pur essendo buona in quanto dotata di un’anima spirituale creata da Dio, vive in una condizione di decadimento rispetto a quella di giustizia originaria.

Prima che fosse commesso il primo peccato, gli uomini vivevano davvero in una condizione di piena armonia con sé stessi, fra loro, verso il creato e con Dio: le passioni non si ponevano in contrasto con la ragione e vi era naturale comunione fra tutti. L’uomo agiva senza sforzo, volentieri e con gioia in relazione a sé stesso, ogni altra creatura e con il Creatore. In questa situazione, gli uomini erano simili a Dio, beati, immortali e felici. Poi accadde il Peccato Originale e, da quel momento in avanti, la natura umana perse questa condizione di naturale giustizia a cui seguirono, come conseguenza, dolore, fatica e morte. È da notare che il modo di presentare questo misterioso accadimento nella Bibbia fa riferimento a un evento storico, ma non è cronaca né racconto storico: vuole segnalare una verità fattuale dell’essere dell’uomo nonostante non offra una cronistoria del modo in cui accaddero le cose.

Per comprendere questa precisa modalità del racconto conviene distinguere quattro tipologie di comunicazione dei fatti storici. La prima è la cronaca che è resoconto scarno e puntuale di eventi realmente accaduti, come fanno oggi le agenzie di stampa giornalistiche. Gli annali dei regni antichi (Babilonesi, Longobardi, ecc…) sono un esempio altrettanto valido di questa prima narrazione. La seconda è il racconto storico, per esempio quello di Erodoto o di Le Goff, che non è più solo cronaca, ma narrazione, vagliata criticamente, di accadimenti del passato. C’è poi la fiaba che presenta eventi totalmente immaginari collegati, però, a verità esistenziali. “Il Signore degli Anelli” di Tolkien è una fiaba lunga, ovvero un fantasy, in questo senso. E poi c’è la quarta categoria: l’allegoria. Si trova a metà strada fra il racconto storico e la fiaba: si tratta di un racconto non cronachistico e simbolico, relato a fatti realmente accaduti. La mitologia è allegoria, sebbene oggi ci sia la tendenza ermeneutica, anche in ambito teologico, a pensarla più come fiaba. Inoltre, essa è anche spesso eziologia, ovvero narrazione delle cause di certi fenomeni. In questa quarta categoria, allegorico-eziologica, rientrerebbe il racconto di Genesi 3, insieme ad altri racconti biblici ed extra-biblici simili per genere letterario.

Tenuta ben ferma questa distinzione, che cosa ha reso possibile tale peccato, secondo la tradizione di fede cattolica raccontata in Genesi 3? Il racconto di Genesi 3 indica due cause: la libertà umana e la seduzione del tentatore. Per prima cosa, l’uomo (femmina o maschio) è stato fatto “ad immagine e somiglianza di Dio” perciò dotato di intelligenza pensante e di volontà libera. Dio non ci ha fatti in origine come automi che obbedissero necessariamente ad ogni suo comando. Secondariamente, Dio ha posto nel creato una “bestia astuta” (simboleggiata dal serpente biblico) che tenta di convincere l’uomo ad allontanarsi da Lui. E così accadde di fatto: incuriosito dal tentatore, che gli fece credere di non essere simile a Dio, l’uomo si convinse a disubbidire al suo Creatore. L’inganno sta appunto in questo: l’uomo era già fatto ad immagine e somiglianza di Dio, ma il tentatore, con astuzia, gli fa credere il contrario.

Il peccato compiuto dai progenitori per invidia del tentatore e su spinta della volontà libera è stato, quindi, da un lato di disubbidienza (non ascoltare la Parola di Dio) e, dall’altro di vana superbia (volersi sostituire a Dio). Questo non sarebbe stato possibile se, contemporaneamente, l’uomo non fosse stato creato libero e non ci fosse il diavolo, ovvero colui che intende “dividere”, “separare”, “allontanare” l’uomo dalla comunione con Dio, con gli altri, con se stesso e ogni altra creatura. Ovviamente se si negasse all’uomo la libertà o se si negasse la presenza del tentatore, il racconto del Peccato Originale perderebbe completamente di senso.

Ecco allora che, da quando questo evento è accaduto, a noi uomini è trasmessa una condizione di umanità decaduta, che ha perso la sua giustizia originaria. Nella situazione dell’umanità terrena attuale ci sono date ancora la ragione e la libertà (perché siamo ancora creature ad immagine e somiglianza di Dio), ma in una condizione in cui non ci è affatto facile e spontaneo esercitarle in comunione con i precetti divini, i nostri fratelli, noi stessi e il creato. Infatti, il Peccato Originale non è solo il primo peccato che è stato commesso. Esso è il fondamento della attuale capacità umana di compiere il male: ogni volta che si commette un peccato si genera in noi un processo spirituale simile a quello accaduto ai nostri progenitori. Questo processo spirituale è disobbedienza ai precetti divini a motivo della superbia suggerita dal tentatore. Perciò ci costa fatica non bestemmiare, santificare il giorno del Signore, non rubare, non mentire, non ammazzare. Come sarebbe possibile la guerra, se il nostro cuore fosse quello originario: disponibile a seguire senza sforzo, volentieri e con gioia i precetti divini, tra cui il “Non ucciderai”?

A partire da questa che è, molto in sintesi, la tradizionale prospettiva del Cattolicesimo sul significato del Peccato Originale, si può indicare che cosa c’è di buono, seppur di parziale o impreciso, nelle opinioni precedentemente considerate.

  1. Cominciamo dal monismo. Esso pensa la creazione così com’era prima della caduta, cioè espone la condizione della giustizia originaria. Inoltre, segnala correttamente che il bene è la realtà che conta davvero. Tuttavia, siccome in questo bene originario si trova anche la libertà umana, il male, secondo il racconto del Peccato Originale, appare come oggettivo difetto di esercizio di un bene reale (la volontà libera) a cui sono seguiti anche gli altri mali, ovvero, sofferenza, malattia, morte. Questi mali non sono illusori, né sono considerati come mali solo dagli ingenui e poco dotti egoisti, come vuole il monistra: sono percepiti tragicamente come tali da ogni uomo.
  2. Seconda opinione. Il dualismo segnala con correttezza che il male è opposto al bene, ma sbaglia nel ritenere il male una sostanza equipotente al Bene. Per chi ha fede, solo Uno è Buono per essenza ed è Dio! Tutto il resto è buono in quanto partecipa della bontà divina per creazione. Il male non ha una sua sostanza sua propria, ma è solo un difetto di pienezza del bene creato. Per fare un esempio: il mal di pancia non è un male nel senso che indica qualcosa di distinto e scollegato dalla pancia. È male solo perché è privazione di quel bene che è la salute dello stomaco. Ma è lo stomaco che esiste; e quando è sano non c’è alcun male in lui. Il non accettare tutto questo è il difetto del manicheismo, già bene messo in luce a suo tempo da sant’Agostino: il male ontologico è privazione di un bene che dovrebbe esserci di diritto. Inoltre, il serpente tentatore, simbolo di colui che conduce a compiere il male, è anch’esso creatura di Dio e, quindi, non il male equipotente che controbatte ed annulla in assoluto l’azione benefica di Dio.
  3. L’opinione retorico-favolistica ha ragione nell’indicare che il racconto di Genesi 3 non è storico, nel senso che non si basa su una cronaca di ciò che è accaduto; ed è vero che, in un qualche modo, questo racconto è simile ai racconti sul mito dell’età dell’oro, seppur con innegabili differenze narrative. Tuttavia, il genere letterario “mito”, si diceva, non è pura opera fantasy. Infatti, ribaltando la prospettiva di questa opinione, si potrebbe notare che il mito dell’età dell’oro, così diffusamente attestato nelle più diverse popolazioni antiche, comunica di un evento che non è ritenuto puramente fantasioso, ovvero soggetto di una favola. Anzi, il mito dell’età dell’oro potrebbe essere un buon esempio di racconto eziologico e, quindi, corroborare la fede nel Peccato Originale come evento realmente accaduto.
  4. Infine, l’opinione teologica secondo cui il Peccato Originale è l’interpretazione di Genesi 3 suggerita da San Paolo è corretta. Ma, forse, chi fra i teologi cristiani la propone in questo modo dimentica che gli scritti di San Paolo attestano in maniera scritta la Rivelazione di Dio tanto quanto il libro della Genesi. Perciò, la teologia paolina è consegnata come canone dalla Sacra Scrittura e non può essere trattata, per chi ha la fede teologale, come una fra le molte altre ipotesi teologiche solo probabili. Per la Chiesa, gli scritti di Paolo sono ancora letti e accolti come Parola di Dio.

Al termine di questo lungo articolo, vorrei suggerire un criterio di demarcazione – espressione, questa, che mutuo volentieri da Karl Raimund Popper – per stabilire quando un racconto è degno di nota. Anzitutto: qualsiasi modalità del dire può andar bene per far intuire una qualche verità esistenziale: poesia, cronaca, romanzo, mitologia, fantasy, ecc… Magari ciascuno di noi ha una sua modalità narrativa preferita. La mia, per esempio, è senza dubbio il fantasy. Tuttavia: come si fa, in secondo luogo, a comprendere quando una narrazione ci dice una verità sulla vita umana? Semplicissimo: dobbiamo domandarci se nega o meno una qualche evidenza collegata alla nostra esistenza reale. Ora, chi, in una narrazione, nega l’esistenza del peccato, nega qualcosa di evidentemente umano. Non serve la fede per saper di esser peccatori: basta un occhio sereno e limpido sulla propria condizione umana. E così, allo stesso modo, chi nega la libertà, la tentazione di fare del male, la possibilità di imparare a riparare il male che si compie (cosa impossibile da pensare per i manichei), ecc… nega, a mio giudizio insensatamente, umane evidenze. Per queste ragioni, il racconto del Peccato Originale a me pare l’unica fra le spiegazioni qui proposte che non nega l’uno o l’altro dei fenomeni collegati alla mia condizione umana reale, relata al problema del male. Di conseguenza, è ragionevole, a mio giudizio, credere in questo racconto di evento storico misterioso, sebbene io, e nessun altra persona di buon senso – credo – lo potrebbe considerare una cronaca di fatti storici, né, tantomeno, solo un fiaba della buonanotte.

3 pensieri riguardo “Opinioni sul Peccato Originale

  1. Andrea M. ha detto:

    Caro Luciano,
    apprezzo il tuo tentativo di spiegare il peccato originale, usando la ragione umana pur senza tralasciare il dogma.
    Tuttavia desidero segnalarti la seguente imprecisione contenuta nelle parentesi: “Nella situazione dell’umanità terrena attuale ci sono date ancora la ragione e la libertà (perché siamo ancora creature ad immagine e somiglianza di Dio)”.
    In realtà, dopo il peccato originale ci sono state lasciate da Dio la ragione (gravemente ferita) e la libertà, ma la dottrina cattolica insegna che, a causa del peccato originale, Adamo ha perduto la somiglianza soprannaturale con Dio (similitudo Dei) e che la sua immagine naturale (imago Dei) è stata “ferita”. La Chiesa insegna che per mezzo del sangue di Cristo l’uomo è stato oggettivamente liberato dal suo stato di natura decaduta (naturae lapsae) a causa del peccato originale, e l’ha stabilito, giustificandolo, nello stato di filiazione divina per grazia.
    Il Concilio di Trento definisce la giustificazione “come il passaggio dallo stato in cui si trova l’uomo, nato figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio, ad opera del secondo Adamo Gesù Cristo nostro Salvatore”.

    Per tal motivo tutti gli uomini sono creature di Dio, ma solo i battezzati nel sangue di Cristo ne sono figli.

    Ciao

    1. Luciano Pace ha detto:

      Giustamente Andrea hai posto in rilievo un aspetto da me dato per scontato e lasciato implicito. Ciò che scrivi fa ben comprendere i motivi per cui è così importante per chi ha fede il sacrificio redentivo di Gesù. Grazie davvero.

  2. giovanni.granato ha detto:

    Grazie per aver fatto luce su un argomento che oggi sembra quasi essere una “patata bollente”, in cui a dire il vero ben pochi tentano di fare un’accurata ricerca e di realizzare un’esposizione chiara. Ricordo, preparando l’esame di antropologia biblica, che lessi su un manuale di Enzo Bianchi, il quale sostiene in modo lapidario che (cito a memoria) “la condizione dell’uomo preternaturale, quel giorno in cui eravamo senza peccato perfetti in Eden non è mai storicamente esistito se non nella mente di Dio, ma è un’anticipazione del giorno escatologico, di come saremo alla fine”. Ricordo che espressi le mie perplessità al professore, illustre sacerdote e biblista, sul motivo per cui se questa era la verità dottrinale, non veniva espressa nelle predicazioni e nel catechismo e lui mi rispose che Bianchi ha perfettamente ragione, che semplicemente le parrocchie non sono pronte e preparate a insegnare queste nuove acquisizioni teologiche. E io mi sono sentito semplicemente stranito, come è possibile? Non ho risposte nette, probabilmente, credo, la realtà sta nel mezzo: la Tradizione ha un suo valore, ma è anche necessario tramandare i valori della Tradizione nel modo giusto. Uno stesso messaggio, spiegato in modo diverso, può cambiare moltissimo, anche se non nella sostanza. Comunque, per quanto mi riguarda il contributo di teologi come Bianchi non può essere liquidato come “eretico”, dice cose estremamente sensate e condivisibili. Condivido qui il link al suo contributo: https://www.youtube.com/watch?v=XL1isYUGsvc

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