Uno stile da vero maestro

Di Luciano Pace.
Ci sono persone di cui veniamo a conoscenza grazie ai racconti e alle testimonianze altrui. Tra queste, ci sono in particolare i maestri, tenuti in vita dai racconti dei loro discepoli. Si è soliti pensare che la qualità di un maestro si rifletta in quella dei suoi alunni. Ebbene, esattamente 100 anni fa nasceva uno di questi maestri. Ho avuto la fortuna di conoscere chi è stato proprio grazie alla scuola da lui fondata, nella quale ho incontrato coloro che ne hanno raccolto e ne custodiscono l’eredità, in particolare Piergiorgio Grassi, insieme a Marco Cangiotti, Andrea Aguti e molti altri amici e colleghi. Mi riferisco a don Italo Mancini, una delle figure di spicco della cultura filosofica e teologica italiana del secondo dopoguerra, apprezzato in ambito accademico per i suoi studi sulla Filosofia della religione e su quella del Diritto.
Tuttavia, si sarebbe molto fuori strada se si considerasse l’importanza di questo uomo illustre solo per il suo contributo accademico. Infatti, la sua caratura di dotto ed accademico si accompagnava alla sua statura di uomo giusto e retto, nonché di pastore d’anime premuroso. Coloro che gli sono stati più vicini gli sono testimoni in questo: don Italo era persuaso che gli studi accademici fossero destinati a rimanere sterili se, in un qualche modo, non riuscivano ad intercettare la vita quotidiana al di fuori dell’università. Si trattava proprio di uno “stile” di carità intellettuale ed umana.
Di questo suo stile mi parlò per la prima volta un collega ed amico del Liceo Arnaldo di Brescia, circa quindici anni fa. A quel tempo stavo decidendo, da giovane insegnante di Religione Cattolica inesperto, in quale Istituto Superiore di Scienze Religiose (ISSR) perfezionare la mia formazione teologica. Senza che io sapessi nulla di don Italo, Giuseppe mi disse: “So che c’è un scuola di Teologia molto valida ad Urbino. È stata fondata da don Italo Mancini. Quando ero studente all’Arnaldo era venuto a parlarci del problema del male e della teodicea. Ricordo ancora il suo intervento e la suo acume intellettuale”. Lì per lì, non badai molto al consiglio. Ma, certamente, mi colpì la convinzione con cui mi parlò di questa sua esperienza.
In seguito, fu un altro amico, un prete salesiano, a rinforzare questo primo contatto con quello che, al tempo, era per me solo un nome di uno stimato studioso fra i tanti. Mi disse don Gabriele: “Luciano, prendi contatto con l’ISSR di Urbino per i tuoi studi teologici. Lì c’è il prof. Piergiorgio Grassi, allievo di don Italo Mancini, un uomo straordinario. Conosco bene l’ambiente accademico: si studia seriamente in un clima di relazione umano e fraterno”. Fu così che decisi di seguire il consiglio di due amici che fra loro non si conoscevano. Scrissi una e-mail di presentazione a Piergiorgio e giunsi ad Urbino nel 2013. Fui accolto con grande ospitalità come studente e da lì non me ne sono ancora andato.
Oggi ho il privilegio di far parte del Collegio dei Docenti dell’ISSR intitolato a don Italo. Non nego che mi sarebbe piaciuto molto conoscerlo di persona, dopo questi eventi che hanno intercettato “per caso” (o meglio, a me piace pensare, per “Provvidenza”) la mia vita in relazione a lui. Da quanto ho avuto modo di conoscere e di ricevere, posso confermare anche io il valore di una scuola di Filosofia e di Teologia improntata ancora sullo stile del suo fondatore. A questa scuola è stato dedicato il volume proprio di Piergiorgio Grassi dal titolo “Dalla metafisica all’ermeneutica“, edito qualche anno fa da Vita e Pensiero.
Fu fondata nel 1981 con l’apertura dell’ISSR di Urbino. Prima della revisione dei Patti Lateranensi del 1984, don Italo e Carlo Bo, altro grandissimo intellettuale del ‘900 italiano a cui è dedicata l’università urbinate, presero insieme la decisione di riportare in università pubblica lo studio della Teologia. Come raggiungere questo scopo? I due, con lungimiranza e coraggio, scelsero di far esistere in università un ISSR che avrebbe dovuto caratterizzarsi per la sua capacità di porre in dialogo la Teologia con altre discipline, senza il timore di reciproche contaminazioni. Don Italo, infatti, era convinto che l’esercizio della ragione alla luce della fede in Cristo dovesse esprimere non solo la fedeltà al Cielo, ma anche la premura e la vicinanza alla Terra.
Inoltre, come rappresentativa dell’attività intellettuale dell’Istituto, fu fondata, in collaborazione con l’Editrice Morcelliana di Brescia la rivista “Hermeneutica“. Il titolo della rivista è chiaramente indicativo dell’approccio intellettuale che si voleva coltivare negli studi teologici, ovvero quello interpretativo. A giudizio di don Italo, le verità connesse alla fede cristiana non dovevano essere presentate allo scopo di ottenere egemonia culturale nel mondo, ma come chiavi per aprire le porte dei cuori umani in cerca del senso della vita. La scelta ermeneutica fu una decisione di metodo: la Teologia stessa era invitata a diventare un esercizio di decodifica del significato più vero e profondo di ogni esperienza umana grazie alla Rivelazione di Dio in Cristo. Nel suo ultimo scritto, edito postumo, intitolato “Frammento su Dio” don Italo riassumeva così questo metodo: bisogna diventare capaci non tanto di “parlare di Dio” al prossimo, ma di accompagnarlo a “parlare con Dio”.
L’eredità umana ed intellettuale consegnata da questo grande maestro è davvero egregia. A testimoniarlo non ci sono solo i suoi discepoli, ma anche i suoi tanti scritti. Se penso, poi, a ciò che personalmente ho avuto la grazia di ricevere da chi oggi “amministra” ancora questa eredità, non posso che dirmi onorato di esserne stato reso partecipe, sia come uomo, sia come insegnante. Molti degli studenti che ancora frequentano l’insegnamento della Religione Cattolica mi dicono che lo fanno per lo “stile” con cui insegno. “Nelle ore di Religione Cattolica riflettiamo sul senso della vita, impariamo ad esser più umani, ci ascoltiamo a vicenda, impariamo con serenità, ecc…”. Sono sicuro che questo sia vero anche per molti altri colleghi sparsi per tutte le scuole d’Italia. Ma, nel mio caso, questo stile, che è anche quello che caratterizza l’esperienza del progetto “Ora di pace”, non sarebbe stato possibile senza l’incontro con la scuola urbinate e con il suo dotto e umano maestro, il cui riflesso ho scorto nelle vite di coloro che ne sono stati veri discepoli.