Sulla presunta islamofobia di Dante

Di Luciano Pace.

La notizia di qualche giorno fa riferita alla Scuola Secondaria di I grado (ex “Medie”) di Treviso veneto, relativa all’esonero di due studenti dallo studio del XXVIII Canto dell’Inferno dantesco a motivo dell’irriverenza di Dante verso Maometto (segnalata all’insegnante di Lettere dai genitori degli studenti) ha generato non poca “maretta” giornalistica e mediatica. Di fronte ad un fatto simile, una prima difficoltà è comprendere se si tratti di un evento isolato, cioè scollegato dal contesto culturale in cui esistiamo, o se ne sia invece, in un qualche modo, rappresentativo.

Non è facile fronteggiare sensatamente anche solo questa prima difficoltà. Infatti, uno dei caratteri della cultura diffusa del nostro tempo è scambiare l’immediatezza di opinione per liberalità del pensiero. Si ritiene che l’espressione di un’opinione sia indice di legittima pensosità. Magari così fosse! Eviterebbe tanta fatica a noi insegnanti che ogni giorno compiamo lo sforzo titanico di convincere i nostri studenti che la libertà nel pensare è una conquista faticosa susseguente allo studio serio e appassionato. Infatti, ogni insegnante sa che, per pensare con libertà, è necessario dedicarsi ad estirpare la propria ignoranza. Le prime opinioni che vengono in mente potrebbero essere tutt’altro che espressione di libertà, quanto piuttosto riflessi condizionati delle uniche e poche idee a cui si riesce a riferirsi.

Una seconda difficoltà relata al fatto citato è che – a me pare – viviamo in in tempo in cui non è chiaro che cosa debba intendersi con “laicità” e quali forme essa dovrebbe assumere in rapporto alla convivenza fra cittadini fedeli di diverse religioni. A me è stato insegnato che la via italiana alla laicità è quella dell’accettazione e del rispetto verso ogni forma di espressione religiosa e filosofica professata da un cittadino. È chiamata “laicità inclusiva“, per distinguerla dal modello francese di “laicità escludente” le religioni. Ebbene, questa forma di laicità esiste? È praticata e promossa davvero? Quando e dove lo è? È l’unica via possibile alla convivenza civile e democratica fra cittadini di diverse fedi religiose? In che modo è possibile incentivarla a scuola? A questi interrogativi non intendo offrire qui risposta. Ma mi pare pur necessario porli e avviare una rinnovata riflessione in merito.

Con il tenere sullo sfondo queste due difficoltà, l’interrogativo su cui puntare l’attenzione rispetto all’episodio accaduto a Treviso potrebbe essere questo: per convivere pacificamente fra cittadini di fedi diverse è opportuno obliterare a scuola elementi della cultura dell’Occidente (ed italiana in particolare) in nome del rispetto di chi si sente da essi infastidito o offeso? Direi che la risposta è chiaramente: no! Nient’affatto! Questa non è la via. Ed è proprio il riferimento a Dante in rapporto all’Islam e alle fonti islamiche della “Commedia” che risulta significativo per mostrare le ragioni per cui non vale la pena seguire la via della “sospensione di giudizio” su elementi della cultura italiana, letteraria né di altro tipo. Ci terrei ad argomentare meglio e con più calma questa posizione.

In prima battuta, è bene ricordare che già qualche anno fa in Olanda era stato proposto di omettere il nome di Maometto nella traduzione della “Commedia”, per il modo in cui egli è giudicato da Dante. Infatti, Maometto si trova all’Inferno, dilaniato “dal mento fin dove si trulla“. Tuttavia, vi si trova non in quanto profeta di una nuova religione, ma in quanto al sommo poeta appare come l’esempio di un combattente religioso eretico. Maometto, e con lui l’Islam coranico, pensano a Gesù allo stesso modo di Ario e degli ariani: egli è una creatura sublime, un profeta di Dio, nato da Miriam per opera della parola di Allah, ma non è la Seconda Persona della Trinità. Quello che fa fede per Dante, uomo e cristiano del tardo Medioevo, è il peccato di eresia di Maometto, non la religione da egli inventata e di cui è creduto il profeta da molti.

Il criterio dantesco secondo il quale la collocazione in uno dei suoi “luoghi” oltre mondani è il tipo di peccato commesso è da lui applicato con grande coerenza nelle cantiche dell’Inferno e del Purgatorio. È un criterio tipico della tradizione di fede cristiana, che egli reinterpreta culturalmente. Motivo per cui nel suo Inferno si incontrano, in conseguenza dei loro peccati, anche quattro papi ben noti: Celestino V, “colui che fece per viltade il gran rifiuto“; Bonifacio VIII, suo nemico in politica; e poi i due papi “simoniaci”, Niccolò III e Clemente V, accusati di esser dediti al commercio di beni sacri.

Ora, supponiamo che nella calasse della scuola di Treviso ci siano degli studenti cristiani evangelici. Immagino che ai loro genitori farebbe piacere che Dante sia ben conosciuto, no? Questo confermerebbe che Lutero aveva ragione a condannare il papa del suo tempo per la simonia da lui espressa nella vendita delle Indulgenze. Ma è così che è sensato procedere a scuola? È con questo modo di pensare fideistico (da tifoseria religiosa) che si può decidere che cosa o meno vada studiato letterariamente nelle aule scolastiche? Deve essere la simpatia confessionale per l’uno o l’altro personaggio della “Commedia” a diventare criterio dell’opportunità di insegnare ciò che in essa vi si trova scritto? La risposta, anche in questo caso suona negativa.

Un secondo elemento di riflessione. A chi abbia studiato un po’ la “Commedia” di Dante, non sfugge che esistono fonti islamiche a cui egli si è ispirato. A quanto pare, Dante stesso teneva in considerazione la grandezza del filosofo islamico Averroè, il quale è posto nel Limbo come il più “savio” fra i dotti non battezzati. Con lui c’è anche il Saladino, espressione delle virtù cavalleresche della cristianità. Non pare che questo indichi alcun disprezzo verso la cultura islamica, giusto? Il che non deve meravigliare: in ambito culturale durante tutto il Medioevo la collaborazione fra dotti universitari cristiani ed islamici è ampiamente attestata. Rispetto al rapporto fra Dante e l’Islam, inoltre, la critica dantesca stessa riconosce che “La scala di Maometto“, un testo del Duecento che raccoglie il resoconto del suo presunto viaggio mistico nell’aldilà, può essere stato benissimo fonte della “Commedia” dantesca, date le molte analogie fra i due testi, soprattutto rispetto alle pene dei dannati.

Perciò, accusare Dante di essere intransigente verso Maometto e, quindi, islamofobico risulta quanto mai infondato, tendenzioso e inopportuno culturalmente. Anche perché, Dante stesso non si mostra sempre così scontato nei suoi giudizi sui non battezzati. Per esempio, sia nel Purgatorio sia nel Paradiso egli fa riferimento all’eccezionale vicenda collegata ad una leggenda riferita all’imperatore Traiano che, grazie alla preghiera di san Gregorio Magno, ottenne da Dio di essere tratto dall’Inferno al Paradiso per il suo atto di giustizia verso una madre il cui figlio era stato assassinato. Traiano era pagano. Eppure, Dante lo colloca in Paradiso.

Un altro esempio di originalità di Dante rispetto alla sua interpretazione teologica della fede cristiana lo si evince dal destino del pagano Aman, di cui si racconta nel libro biblico veterotestamentario di Ester. Secondo il racconto, questo funzionario babilonese fu condannato a morte da Assuero (Artaserse) per aver cercato di sterminare il popolo ebreo, a cui anche la regina Ester apparteneva. Aman fu impiccato sulla forca che aveva preparato per Mardocheo, padre adottivo di Ester. Dante, lo colloca in Purgatorio e afferma che fu crocifisso e non impiccato, a motivo della sua ira. Come è dunque possibile che il “crucifisso dispettoso e fero“, quale fu il pagano Aman, sia in Purgatorio e non all’Inferno, dato che aveva ordito lo sterminio dell’intero popolo d’Israele?

Sia nel caso di Traiano, sia in quello di Aman, la critica dantesca più accorta segnala l’intenzione di Dante di voler comunicare al lettore l’imperscrutabilità della giustizia divina: nonostante la legge del “contrappasso”, che permette a Dio di mostrarsi giusto in ciò che opera, bisogna anche salvaguardare la verità di fede secondo cui, nell’esercizio della sua maestà, Egli rimane al di là di ogni calcolo umano. In questo Dante fa suo lo spirito di queste parole del profeta Isaia: “Le mie vie non sono le vostre vie, i miei pensieri non sono i vostri pensieri. Oracolo del Signore” (Isaia 55, 8).

Insomma, ad uno sguardo più attento, se si tiene conto degli esempi citati e del giudizio di Dante su Averroè, Saladino, Traiano e Aman appare proprio scorretto culturalmente supporre che Dante ce l’avesse non solo con l’Islam, il suo profeta, ma anche con esponenti della cultura pagana ed ebrea, in ragione della sua fede cristiana. Ma – mi rendo ben conto – ciò può non esser percepito con chiarezza in tempi in cui al posto di invogliare gli studenti a studiare bene Dante, anche se è probabile non ne abbiano voglia (data la loro età), si preferisce esonerarli da questo studio, facendo leva su un fazioso e comodo rispetto verso la religione da essi professata.

Certo, tutto ciò lascia un certo amaro in bocca a noi insegnanti se si pensa che, nelle Università di quel presunto oscuro Medioevo in cui Dante è vissuto teologi, filosofi e letterati, cristiani ed islamici, collaboravano insieme per amore del sapere. Nel nostro tempo, invece, nelle Accademie laiche, un teologo eletto papa qualche hanno fa non ha avuto il diritto di tenere una lezione. Questo diritto è stato, al contrario, concesso recentemente, seppur in maniere non chiare istituzionalmente, ad una guida delle preghiera islamica.

Mi domando da povero insegnante di Religione Cattolica: non è la nostra cultura sedicente laica a risultare alquanto oscura e incapace di facilitare il dialogo fra fedeli e teologi di religioni diverse? Ed è così difficile ricordare ogni tanto sui giornali che, oltre ai due studenti islamici di Treviso e alle loro famiglie, ce ne sono molti altri che scelgono di frequentare l’IRC, nella convinzione che ne valga la pena per approfondire il senso della religione che ha dato forma alla cultura del nostro popolo, nonostante non sia quella a cui essi sono stati educati in famiglia? Piuttosto che mettere a tacere Dante, converrebbe ascoltare quanto ancora oggi ha da insegnare ad ogni uomo desideroso di esercitar raziocinio.

Lascia un commento

Scuola di Filosofia

Articolo precedente

L’idealismo
Articoli

Articolo successivo

La fede: fra certezza e dubbi